Giuggiole, sorbe, melagrane, azzeruoli, corbezzoli, ma anche pere volpine, mele da rosa, corniole, prugnoli selvatici e mele cotogne, da cui si ricava la famosa cotognata. Sono alcuni dei “frutti dimenticati” protagonisti delle cucine e delle tavole dei nostri nonni e bisnonni e oggi quasi scomparsi. Per trovarli e assaggiarli bisogna mettere in programma un finesettimana a Casola Valsenio, un borgo medievale di poco più di 2600 anime in provincia di Ravenna al confine tra l’Emilia e la Toscana, immerso nel verde dell’Appennino Faentino, punteggiato da chiese e costruzioni dal fascino lontano, che l’11 e il 12 ottobre e il 18 e 19 ottobre ospita la “Festa dei frutti dimenticati”, un appuntamento che da 24 anni va in scena ogni autunno nel centro storico.

Nei due weekend del gusto, sopra scenografiche bancarelle troneggiano i frutti che gli agricoltori raccolgono dalle vecchie piante, sopravvissute dalle coltivazioni del passato, o da quelle collocate ex novo: le sorbe, colorate e piacevolmente aspre; l’uva spina, un frutto di bosco simile al ribes per la forma ma dal colore tra il giallo e il verde; gli azzeruoli, rossi e agrodolci; il corbezzolo, dai cui fiori si ottiene un miele particolarmente aromatico; le giuggiole, da cui si ricava il celebre nettare chiamato “brodo” per il suo gusto zuccherino; le pere spadone e volpine; le avellane, un termine antico con cui in passato si indicavano noci, nocciole e mandorle.
A Casola Valsenio, diventato famoso come il “Paese delle erbe e dei frutti dimenticati”, accanto a questi prodotti delle terra “di altri tempi” si trovano poi trovano liquori, conserve, composte e specialità dolci e salate cucinate per l’occasione dai ristoranti della zona, dal risotto con le pere volpine all’arista di maiale con le castagne, dalle frittelle di mele alle immancabili crostate con marmellate rigorosamente fatte in casa, fino ai prugnoli spinosi – che crescono ai margini di sentieri e boschi – ripieni di zabaione e noci, la torta di marroni e il “migliaccio”, preparato con mele cotogne, pere volpine, mele gialle, cioccolato, pane raffermo grattugiato, canditi, riso e sangue di maiale. E, ancora, golosità della gastronomia emiliana come la polenta fritta e il sambudello, un salame ricavato dalla lingua e altre parti suine meno pregiate, che si consuma fresco, cotto sulla griglia o sott’olio.
Accanto alle degustazioni spazio a una serie di appuntamenti alla scoperta del territorio e della storia affascinante che ruota attorno a questi frutti: visite guidate ai luoghi di interesse storico, incontri tematici, concorsi e laboratori di cucina.
I frutti dimenticati, cibo dei contadini
I frutti dimenticati, cibo dei contadini
Fin dal tardo Medioevo le giuggiole, l’uva spina e le altre varietà, destinate al solo consumo domestico, erano coltivate nei campi casolani, ma crescevano anche spontaneamente nei boschi dell’Appennino e sugli alberi nelle vicinanze delle case coloniche; in autunno i contadini raccoglievano i frutti in quantità abbondanti, conservandoli o lanciandoli maturare all’interno delle soffitte, al riparo dalla pioggia e dal freddo, per poi attingere alla preziosa scorta durante i mesi invernali, quando il pasto quotidiano non sempre era assicurato. Mele, castagne e noci sostituivano spesso il pranzo o la cena, accompagnati dal pane, l’unico alimento che non mancava mai in dispensa.
Con il tempo questi frutti sono diventati sempre più rari, fino a scomparire quasi del tutto nella seconda metà del secolo scorso, quando il miglioramento generale delle condizioni di vita ha consentito a tutti un’alimentazione più ricca e varia. Poco più di due decenni fa nei casolani è nata la volontà di recuperare queste antiche colture – una straordinaria testimonianza di biodiversità e parte integrante della storia del territorio – e trasmetterne la memoria alle giovani generazioni.
Per un weekend tra natura e storia
Per un weekend tra natura e storia
Oltre ai frutti dimenticati, l’altro fiore all’occhiello di Casola Valsenio è il Giardino delle Erbe Aromatiche intitolato al fondatore Augusto Rinaldi Ceroni, raggiungibile percorrendo la profumatissima “Strada della lavanda”, che attraversa la vallata del fiume Senio – un affluente del Reno – e in estate, quando le piante sono in fiore, si riempie di colori spettacolari. Inaugurato nel 1975 con l’obiettivo di conservare e coltivare piante officinali e aromatiche, il giardino vanta ben 450 specie diverse che vengono utilizzate in cucina, nella medicina, nella cosmesi fin dal Medioevo, quando venivano lavorate all’interno dei conventi.
Tra le bellezze naturali, merita una visita anche la Vena del Gesso Romagnola, al confine nord del comune di Casola, che fa parte dell’omonimo parco regionale, una dorsale lunga circa 20 chilometri, formata da banchi di solfato di calcio cristallizzati e ricca di doline, grotte e inghiottitoi (piccole cavità dove l’acqua penetra nel sottosuolo) di origine carsica.
Da vedere infine l’Abbazia di Valsenio (attualmente in fase di ristrutturazione), a due chilometri dal borgo, fondata dai benedettini nell’anno Mille, che conserva sotto l’abside i resti di un’antica cripta risalente al VII secolo d.C.; la Pieve di Settefonti, la più antica chiesa del luogo, di recente restaurata e la Rocca di Monte Battaglia, costruita sul colle omonimo, a 716 metri sul livello del mare, che tra il 26 settembre e l’11 ottobre 1944 fu teatro di una sanguinosa battaglia della campagna d’Italia, tra i partigiani della 36esima Brigata Garibaldi, le truppe britanniche e americane da un lato e le forze tedesche dall’altro.