Legumi pregiati e semisconosciuti, frutta e ortaggi, vini, insaccati e dolci: c’è il meglio dell’agroalimentare italiano tra i nuovi presidi – ben venti – che da oggi Slow Food proteggerà dal rischio di estinzione.
Ci sono la Cipolla bionda di Cureggio e Fontaneto, la Rosa di Gorizia e il Vinsanto affumicato dell’Alta Valle del Tevere, ma anche salumi come la Salsiccia e Soppressata dal Vallo di Diano, nel Cilento, e dolci come il “Sospiro” di Bisceglie.
Eccellenze prodotte da un numero sempre più esiguo di piccole imprese locali, spesso a gestione familiare, che testimoniano la straordinaria ricchezza enogastronomica del Belpaese e che saranno presentate ufficialmente al prossimo “Salone del Gusto e Terra Madre”, in programma a Torino dal 23 al 27 ottobre.
Con i nuovi ingressi salgono a oltre 200 i presidi Slow Food in Italia, a sostegno dell’operato di tanti contadini, pescatori, norcini, pastori, casari, fornai e pasticceri sparsi per la Penisola, che con il loro lavoro costruiscono giorno per giorno il vero made in Italy riconosciuto e apprezzato nel mondo. In questo modo la fondazione si adopera per mantenere viva l’eccezionale biodiversità che caratterizza il nostro Paese e le produzioni “di nicchia”, realizzate con procedimenti verdi e sostenibili, secondo tecniche spesso secolari e strettamente legate al territorio di appartenenza.
Al Lazio e alla Sicilia, che si vedono riconosciuti ben cinque presidi a testa, va il primato del maggior numero di nuove eccellenze. Le altre arrivano da Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Campania, Basilicata e Puglia. Vediamo quali sono:
Piemonte
Carema
È un vino di montagna dal peculiare colore aranciato, dal sapore fresco e dall’aroma persistente. Il Carema viene prodotto sin dal Quattrocento nell’omonimo comune della provincia di Torino, un borgo di appena 800 abitanti al confine con la Valle d’Aosta. Carema è chiamato il “paese vigneto”, perché le viti a pergola occupano gli spazi tra le case e ornano giardini e cortili: una tecnica adottata sia per ottimizzare le superfici che per garantire il clima ideale alla maturazione dell’uva – i colonnati di pietra che sorreggono le pergole, infatti, si scaldano durante il giorno e di notte proteggono i chicchi dal freddo. La manutenzione dei vitigni avviene interamente a mano, senza l’ausilio di macchine, e questo antico ma impegnativo sistema, che richiede una manodopera quattro volte superiore a quella di una vigna comune, è oggi a rischio di estinzione.
(Photo credit: www.doyouwine.com)
Cipolla bionda di Cureggio e Fontaneto
A fine agosto nella pianura compresa tra i fiumi Agogna e Sizzone, tra i comuni di Cureggio e Fontaneto (Novara), viene raccolta la “Cipolla bionda”, un bulbo di grosse dimensioni, largo fino a otto centimetri e di peso compreso tra 150 e 400 grammi, dal gusto dolcissimo. Le colture rischiano però di scomparire a causa dell’industrializzazione delle aree limitrofe.
Friuli Venezia Giulia
Rosa di Gorizia
È una varietà di radicchio rosso conosciuta fin dai tempi degli Asburgo, simile ad una rosa appena sbocciata, dal gusto intenso con una punta di amaro quasi impercettibile. La sua coltivazione, lunga e laboriosa, è ormai portata avanti da un numero esiguo di agricoltori.
(Photo credit: futurbioerbe.wordpress.com)
Veneto
Stortina Veronese
È un piccolo salame del peso inferiore ai 200 grammi, prodotto da due sole aziende familiari della bassa veronese, con parti pregiate del maiale (spalla, lombo, culaccia, prosciutto e grasso di pancetta) insaporite con aglio macerato nel vino bianco. Viene messo a stagionare nelle cantine, all’interno di pentole di terracotta riempite con lardo macinato, che dà alla carne una grande morbidezza.
Melo decio di Belfiore
A Belfiore (Verona), da tempi lontanissimi si coltiva questo particolare melo dai frutti verdi, ricoperti da una singolare macchia di color rosa chiaro. Il loro profumo è talmente intenso che in passato le mele erano usate per profumare cassetti e armadi. Dagli anni Settanta la produzione si è ridotta notevolmente, sostituita da altre varietà più richieste dal mercato.
Lazio
Giglietti di Palestrina
Sono solamente cinque (quattro a Palestrina e uno nel comune di Castel San Pietro Romano) i fornai che ai giorni nostri preparano i “giglietti”, biscotti impastati con farina, zucchero e uova, chiamati così per la forma somigliante appunto a un giglio, con tre rami lunghi 10 centimetri. Furono portati nel Lazio dalla nobile famiglia dei Barberini, che dopo la morte di papa Urbano VIII (al secolo Maffero Barberini), nel 1644, si rifugiarono alla corte di Luigi XIV e dai pasticceri della corte francese appresero la ricetta di questi biscotti a forma di giglio (simbolo araldico della dinastia dei Borbone di Francia).
(Photo credit: www.ccnitalia.com)
Chiacchietegli di Priverno
Somigliano ai broccoletti, ma si distinguono da questi per il singolare colore violaceo. Nelle campagne di Priverno (Latina) coltivare i Chiacchietegli è una tradizione che si tramanda da padre in figlio da secoli ma che rischia di scomparire, perché ormai affidata solo ai contadini più anziani.
Fagiolone di Vallepietra
Un grosso fagiolo rampicante, che per le dimensioni e il colore bianco somiglia a un confetto, coltivato da tempi lontanissimi nella Valle dell’Aniene, nei comuni di Vallepietra e Filettino, al confine tra la provincia di Frosinone e l’Abruzzo.
Lenticchia di Rascino
Piccola e pregiata, la Lenticchia di Rascino viene prodotta nell’omonimo Altopiano, nei comuni di Fiamignano e Petrella Salto (Rieti), a 1200 metri sul livello del mare. È coltivata con metodi biologici, senza l’uso di concimi o diserbanti, e raccolta a mano.
Fagiolina di Arsoli
Tondeggiante e di piccole dimensioni (5-7 millimetri di lunghezza), dal sapore delicato e facilmente digeribile, è coltivata nella campagna di Arsoli (Roma), nella cosiddetta Valle del Fosso Bagnatore (un affluente del fiume Aniene), su terreni argillosi e sabbiosi. Un tempo unica fonte di sostentamento degli abitanti di Arsoli, oggi viene prodotta da soli quattordici coltivatori.
Umbria
Vinosanto affumicato dell’Alta Valle del Tevere
Questo dolce vino passito oggi è realizzato soltanto da circa quindici famiglie di Città di Castello (Perugia). È ottenuto da uve bianche fatte appassire nelle cucine o nelle soffitte delle case di campagna, dove la legna arde tutto il giorno nei caminetti, rilasciando sui chicchi il caratteristico aroma di fumo.
Campania
Soppressata e salsiccia del Vallo di Diano
Il Vallo di Diano, fertile altopiano al confine tra la Campania e la Basilicata inserito tra i patrimoni dell’umanità Unesco, vanta una ricca e rinomata tradizione norcina. La salsiccia e la soppressata vengono lavorate a mano, tagliando a punta di coltello la carne (proveniente solo da suini locali): spalla, pancetta, lombo e prosciutto per la salsiccia e parti magre e lardo del dorso per la soppressata. Dopo la stagionatura, favorita dal clima temperato del luogo, i due salumi vengono conservati sott’olio o grasso, in barattoli di vetro o terracotta.
Basilicata
Fagiolo rosso scritto del Pantano di Pignola
Importato in Lucania dagli Spagnoli al ritorno dalle Americhe, i fagioli di Pignola (comune del potentino che sorge in prossimità del Lago di Pantano, oasi WWF) trovarono qui il clima ideale per crescere (temperature che anche in estate non superano i 30 gradi e un elevato tasso di umidità). Dalla buccia tenerissima, beige con screziature rosse (da cui il nome), in epoca napoleonica questi fagioli erano alla base dell’alimentazione della popolazione locale, ma a partire dal secondo dopoguerra la sua coltivazione diminuì sensibilmente a causa della massiccia migrazione dei contadini verso la città.
Pera Signora della Valle del Sinni
Dalla consistenza delicata e aroma intenso, la “Signora” fa parte da secoli delle coltivazioni della Valle del Sinni (che sorge attorno al fiume omonimo). Matura in estate e in cucina è molto versatile: oltre che per preparare marmellate e succhi si presta infatti anche ad essere sciroppata ed essiccata.
Puglia
Sospiro di Bisceglie
Dolcetti di Pan di Spagna farciti con crema pasticcera e ricoperti con una glassa di zucchero a velo, limone e acqua (il “naspro”), che ricordano la forma dei seni femminili, all’origine dei “sospiri” maschili. Secondo la leggenda nacquero nel convento delle Clarisse di Bisceglie nel XV secolo, per festeggiare il matrimonio tra il Conte di Conversano e Lucrezia Borgia: la sposa però non si presentò in chiesa e gli ospiti mangiarono i dolcetti preparati per l’occasione, che presero il nome di “sospiri” per evocare l’attesa dello sposo.
(Photo credit: www.youtube.com)
Sicilia
Le famiglie di Rosolini (Siracusa), comune ai piedi dei monti Iblei con una ricca tradizione agricola (mandorli, ulivi, frumento, fave) avevano l’abitudine di coltivare, accanto alle concimaie, delle piantine di cavolo che servivano esclusivamente per l’autoconsumo. Da qualche anno questa piccola produzione è stata recuperata grazie all’Unita Operativa Specializzata di Ispica (Ragusa) e a un gruppo di giovani agricoltori.
Albicocca di Scillato
Nei comuni di Scillato e Collesano (Palermo) dalla fine degli anni Settanta gli agricoltori hanno introdotto questa nuova coltivazione, una varietà molto precoce di albicocca che resiste in maniera naturale – quindi senza l’utilizzo di pesticidi – all’attacco della mosca della frutta e di altri parassiti. Piccola e tonda, si caratterizza per la polpa arancio, con screziature rossastre, e la polpa dolce e zuccherina.
Fava cottoia di Modica
Patrimonio dell’Umanità Unesco per le sue bellezze architettoniche e famoso per i laboratori artigiani di lavorazione del cacao, Modica (Ragusa) vanta anche una storica vocazione agricola. Tra i suoi prodotti più pregiati troviamo la fava “cottoia”, chiamata così perché cuoce in tempi più brevi rispetto a quelle tradizionali.
Fava larga di Leonforte
Larga, poco farinosa e di facile cottura, la Fava di Leonforte (Enna), in passato veniva coltivata per “cummatti ca’ malannata”, ovvero per migliorare la resa del terreno in condizioni avverse, e consumata spesso al posto della troppo costosa carne. Negli ultimi trent’anni la sua produzione è diminuita progressivamente a causa della meccanizzazione delle colture.
Pesca nel sacchetto
Anche questa pesca proviene dal comune di Leonforte: è chiamata così perché, secondo un ingegnoso procedimento inventato negli anni Sessanta da un certo Pappalardo di Acireale, a giugno, quando è ancora verde, viene chiusa in un sacchetto di carta pergamenata e rimane sull’albero fino alla completa maturazione, protetta sia da vento e grandine che dai parassiti (senza la necessità di diserbanti).