Il peperone quadrato della Motta, una minuscola frazione di Costigliole d’Asti, in Piemonte, il Casu Marzu sardo, una piccante varietà di pecorino prodotto nei caseifici del nuorese, il profumato e grosso Limone dell’isola di Procida (Campania). E poi specialità che arrivano da terre lontane, come il tè delle foreste di montagna Pu’er dalla Cina, il sale nero di Boke, in Etiopia, e il casabe, un pane ecuadoregno che si ricava dalla manioca (un tubero che cresce nella Foresta Amazzonica) grattugiata e che somiglia a una tortilla schiacciata.
Sono solo alcuni dei cibi a rischio di estinzione che dal 1996 a oggi sono saliti a bordo dell’Arca del Gusto, nata per preservare la bellezza e la ricchezza della biodiversità alimentare nel mondo. Prodotti pregiati che sono andati in scena al Lingotto di Torino, nell’edizione appena conclusa del Salone del Gusto e Terra Madre, organizzato da Slow Food con il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.
A sei mesi dalla partenza dell’Expo, l’evento torinese ne ha anticipato i temi dedicando l’attenzione all’agricoltura familiare – scelta dalla FAO come modello di sviluppo sostenibile da cui partire nella sfida internazionale contro la fame –, quella basata sul lavoro dei membri di una stessa famiglia, che conoscono bene il loro territorio e lo rispettano, producendo alimenti di qualità e dalle caratteristiche organolettiche uniche.
E quale modo migliore per dar voce ai piccoli contadini, pescatori, norcini, pastori, casari, fornai, pasticceri sparsi da Nord a Sud del pianeta, se non mostrare i loro prodotti d’eccellenza? Dei 2015 cibi che attualmente fanno parte dell’Arca, in questi giorni ne abbiamo conosciuti un migliaio, esposti e venduti all’interno del gigantesco Mercato allestito negli spazi dell’Oval, lo stadio costruito nel 2006 per ospitare i Giochi olimpici invernali. Tra questi, i venti nuovi presidi scelti da Slow Food a settembre, come la Rosa di Gorizia, la Salsiccia del Vallo di Diano, i Giglietti di Palestrina o il Vinosanto affumicato dell’Umbria, ma anche il miglio nyankundi del Kenya, il fagiolo sobra dei Balcani, ricchissimo di proteine e minerali, le patate dolci cilembu dell’Indonesia, ricoperte da uno strato superficiale simile al miele, e il pregiato amaranto nero dell’Ecuador, indicato per l’alimentazione dei diabetici perché povero di zuccheri.
Gli stessi visitatori sono stati chiamati a dare il proprio apporto tangibile al progetto di Slow Food, portando una varietà di frutta o un legume particolari, una conserva, un miele, un alimento che sta scomparendo e che potrebbe diventare uno dei prossimi membri dell’Arca del Gusto.
I volti che stanno dietro l’Arca, visti da Oliviero Toscani
“I volti sono paesaggi umani e ognuno di essi ha una particolare bellezza. Insieme possono rappresentare un grande atlante antropologico, una grande fabbrica sociale, un lucido ritratto del tempo. Lo stesso vale per il cibo, che è espressione di libertà, diversità e umanità”.
Anche Oliviero Toscani ha dato il proprio contributo all’evento, con la mostra Terra Madre secondo Oliviero Toscani, 58 scatti allestiti in Piazza Carignano a Torino fino al 31 ottobre, in cui, nei suoi viaggi in giro per il mondo, il fotografo ha immortalato i delegati di Terra Madre che giorno per giorno si battono per la salvaguardia della biodiversità alimentare. “Slow Food ha fatto un lavoro incredibile, impegnandosi per una nuova cultura del cibo, che rispetti le materie prime e l’ambiente che ci circonda. Bisogna cominciare da qui, o meglio ricominciare. Perché una volta, ai tempi dei nonni, era o no tutto slow food?”.