Un calice di vino frizzante, un cocktail o un bitter, accompagnati da patatine, salatini, olive, pizzette, rusticini e tartine, finger food e piccoli “sfizi”, per stuzzicare l’appetito prima di cena o – più raramente – del pranzo.

In principio fu il Vermouth, poi venne il Negroni, nel 1932 il Campari soda lancia l’aperitivo per tutti e nel 1985 l’Amaro Ramazzotti consacra il ruolo sociale dell’aperitivo con la “Milano da bere”. Geniale la trovata del barista Julio Richelieu di aggiungere un’oliva a quello che poi sarebbe divenuto il Martini, un aperitivo inventato nel 1874 mixando 2/3 di Gin con 1/3 di Vermouth e una spruzzata di bitter all’arancia.

Quello che oggi è per tutti l’happy hour, l’ora felice, è nato come idea di marketing per promuovere il consumo di bevande nel tardo pomeriggio, quando i bar si svuotavano. Indicava un’ora – solitamente tra le 18 e le 19 – durante la quale gli alcolici erano venduti a metà prezzo o a un costo comunque ridotto.  E così, negli States prima e poi in Europa, solo verso la fine degli anni ’80 anche in Italia, si diffonde la pratica di ritrovarsi per stare con gli amici consumando bevande e mangiando qualcosa in più dei classici snack da aperitivo.

Un “ape” che si rispetti (com’è chiamato tra i giovani) richiede la bevanda giusta: si va dai vini – i più indicati sono i bianchi secchi e i rosé – ai bitter, dai vermut (bianchi o rossi) agli aperitivi in bottiglia (Aperol, Campari), fino ai cocktail a bassa gradazione alcolica, come il Negroni (nato a Firenze negli anni Venti del Novecento, a base di gin, Campari e Vermouth rosso) e lo Spritz (originario di Venezia e ottenuto dall’unione di vino bianco o Prosecco, bitter e acqua frizzante). Chi non ama l’alcol può scegliere invece tra bitter bianco o rosso e soft dinks (chinotto, acqua tonica, cedrata).

Le origini imperiali 

Giovane solo in apparenza, l’aperitivo è in realtà un’abitudine dalle origini lontanissime: in epoca imperiale, i Romani erano soliti consumare il mulsum, una miscela di vino e miele che stimolava l’appetito – e non a caso l’etimologia del termine deriva dal latino aperire, “aprire” appunto.

L’aperitivo vero e proprio ebbe origine nel 1786 a Torino, quando il distillatore Antonio Benedetto Carpano “inventò” il Vermouth, unendo al vino bianco una selezione di trenta erbe e spezie, alcol, zucchero e assenzio (Wermut in tedesco vuol dire proprio “assenzio”), dal caratteristico gusto dolceamaro, ideale da sorseggiare prima dei pasti. Il successo della nuova bevanda fu tale che la bottega di Carpano, nei pressi della centralissima Piazza Castello, iniziò ad essere frequentata da esponenti della nobiltà e dell’alta borghesia, tra cui Cavour e Giuseppe Verdi. Negli anni il Vermouth divenne l’ingrediente di svariati cocktail e la moda dell’aperitivo cominciò a diffondersi anche nel resto della Penisola.

L’happy hour

Diciamolo subito: l’happy hour è un aperitivo “rinforzato” e prolungato. Al posto o accanto a qualche salatino, olive o arachidi (le noccioline americane), ci possono essere dei piccoli tramezzini o toast, tartine, panini o pizzette da cocktail, rustici, bruschette; ma anche mini porzioni di pasta, insalata o verdure, tocchetti di salumi come mortadella o prosciutto cotto. Oggi in tutta la Penisola sono sempre più numerosi i locali e i lounge bar che dalle 19.00 in poi preparano ricchissimi buffet abbinati a Spritz, Prosecco & Co. Il tutto a un costo decisamente abbordabile, che di solito non supera i dieci euro.

Se i giovani preferiscono l’happy hour, che consente spostare in avanti l’orario di cena, i più adulti continuano a preferire il classico aperitivo.

 

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