Di carne, vegetale o di pesce, non è Natale senza il brodo. Dalla Valle D’Aosta, protagonista della zuppa alla Valpellinentze, al Trentino, dove è utilizzato per cuocere i canederli, fino a Sicilia e Sardegna, preparato con la gallina, il brodo è immancabile sulla tavola del 25 dicembre, in tutta la Penisola. Ma è associato soprattutto a tortellini, cappelletti, casoncelli, insomma alla pasta ripiena, fatta rigorosamente a mano, che in molte regioni italiane rappresenta il piatto forte del pranzo natalizio.
In passato era consumato anche la Vigilia di Natale, ma in versione “povera”, in segno di penitenza: in Piemonte e Liguria, ad esempio, c’era la consuetudine di mangiare soltanto una zuppa di pane cotta in brodo di trippa, aspettando la nascita di Cristo con un pasto frugale. Questa tradizione era diffusa anche in Lombardia, ma qui la trippa in brodo era condivisa dalla famiglia riunita al ritorno dalla Messa di mezzanotte.
L’usanza di mangiare il brodo la sera del 24 dicembre è scomparsa quasi ovunque, tranne in Molise, dove tra le portate del cenone figura il prelibato “brodetto alla termolese”: un tempo piatto del popolo, cucinato dalle mogli dei pescatori con i pesci piccoli rimasti invenduti, ora è una pietanza ricercata e costosa a base di seppioline, triglie, merluzzetti, scorfani, razze e frutti di mare.
A Natale, invece, il brodo è ovunque di carne, soprattutto bianca. Sono tre quelli più diffusi: di cappone, di gallina e di tacchino. Poi c’è il brodo di manzo, quello di maiale e misto.